Popolata da 57mila abitanti (di cui 50mila Inuit e 7mila danesi), la Groenlandia è ricoperta per più dell’80 per cento dalla calotta di ghiaccio, beneficiava dal 1979 di uno statuto d’autonomia interna e, già nel 1982 uscì dall’Unione europea con un referendum. Il 21 giugno 2009 è entrato in vigore il nuovo regime autonomo: tale data segna il trecentesimo anniversario dell’inizio della colonizzazione danese e l’anno zero della nascita di una nuova nazione inuit indipendente!
Il 25 novembre 2008, oltre il 75,5 per cento dei groenlandesi ha votato a favore di un allargamento dell’autonomia, spianando la strada all’indipendenza di quest’isola strategica dell’Artico (la seconda isola più grande del mondo) sotto amministrazione danese da circa trecento anni. Il voto, oltre al diritto all’autodeterminazione, al riconoscimento del territorio, del popolo Inuit e della lingua groenlandese come lingua ufficiale, accorda ai groenlandesi il diritto di gestire le proprie risorse (petrolio, gas, oro, diamanti, uranio, zinco, piombo, altri minerali preziosi). La capitale del futuro Stato Kalaallit indipendente sarà Nuuk, una cittadina di circa 15mila abitanti.
Il risultato del referendum sull’autodeterminazione che si è tenuto in Groenlandia ha posto in evidenza al mondo intero la volontà della popolazione Inuit di staccarsi dalla Danimarca, e di fondare il Kalaallit Nunaat (la terra degli uomini): uno Stato artefice del proprio destino e delle proprie scelte, una Nazione Inuit, con un proprio stato giuridico, una propria forza di polizia, una propria istruzione. Ai danesi resterà solo, temporaneamente, la politica estera.
Fino ad oggi, la Groenlandia aveva un’economia basata soprattutto su turismo, pesca e sussidi della Danimarca che versava ancora a Nuuk 3 miliardi di corone l’anno, cioè oltre 420 milioni di euro (circa 7000 euro per ogni abitante). La scelta dell’autodeterminazione, in funzione degli accordi presi, porterà ad una riduzione degli aiuti, in alternativa ad un guadagno incerto ed a lungo termine, però gli abitanti dell’isola desiderano difendere il diritto di proprietà dei groenlandesi sulle proprie risorse e ritengono che lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi sotto i ghiacci possa soppiantare gradualmente i contributi elargiti dalla corona danese: petrolio in abbondanza ed altre materie prime, saranno la base della sovranità. Ma non è solo questione di soldi, anche e soprattutto di cultura nazionale riscoperta, che spesso è troppo diversa da quella europea rappresentata dai danesi.
La via verso l’indipendenza sarà dura: troppi poveri, pochi i giovani qualificati per una futura classe dirigente. Le ingenti ricchezze minerarie, sia nel sottosuolo, sia sotto i fondali marini potranno difficilmente essere utilizzate nel breve periodo (anche in funzione dei cambiamenti climatici futuri e dell’eventuale scioglimento totale dei ghiacci nei prossimi cinquanta anni).
La volontà degli Inuit di perseguire la via dell’autodeterminazione, a mio parere, va oltre le considerazioni economiche e utilitaristiche e riconduce ad una chiave di lettura più socio-culturale: il desiderio di questo popolo di ritrovare la propria identità nazionale e le proprie antiche tradizioni.
Gli Inuit di oggi discendono biologicamente, culturalmente e linguisticamente dalla Cultura di Thule, che nel XIII secolo, provenendo dal Canada, si espanse rapidamente dal nord della Groenlandia verso Sud, principalmente lungo la costa occidentale, in forma minore nella costa orientale. Furono i Thuleani ad inventare l’igloo, il qayaq (battello monoposto in pelle di foca) ed il qamutiq (slitta trainata da cani), cui devono la loro sopravvivenza nell’Artico. Solo dal 1621, la Groenlandia entrò a fare parte dei possedimenti della Corona di Norvegia, e in seguito, nel 1814, della Danimarca. Entrambi questi governi importarono ed imposero il proprio modo di vivere, la religione, la legge, e una cultura estranea agli Inuit. Essi dovettero soffocare tradizioni, storie, pensieri, la loro lingua stessa (finita relegata come lingua marginale o, ancor peggio, dialetto locale), perdendo gradualmente la propria dignità di popolo, senza più passato, né futuro. I giovani groenlandesi contemporanei si guardano dietro e non vedono da dove provengono, guardano avanti e non scorgono il loro futuro. Il loro presente non è fatto di nulla e spesso si suicidano perché si considerano un peso per le famiglie e la comunità! Nulla in cui credere che appartenga alla propria cultura.
Credo che la volontà di autodeterminazione del fiero popolo Inuit, sia soprattutto il desiderio di ritornare ad essere sé stesso. Una tradizione da ricordare ed un futuro da costruire, consapevoli del fatto che, allontanandosi dall’ala protettiva della Danimarca, gli Inuit potranno ridursi con il vivere solo di caccia e pesca. Sarà questo il prezzo che i Groenlandesi dovranno pagare per parlare la propria lingua, celebrare il proprio credo e i propri miti, raccontare le proprie storie, le proprie leggende, inseguire i propri sogni? È un cammino lungo e difficoltoso, da attuarsi nel più breve tempo possibile, prima che i vecchi, gli ultimi custodi del Grande Nord, muoiano ed il ricordo delle antiche tradizioni venga definitivamente seppellito con loro.
Commenti recenti